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Degli imprinting

Sveglia, ore 6:00 am.
Si va a casa. Ormai sembra così rapido il viaggio, tutto calibrato dal continuo andirivieni collaudato da ormai 23 anni.
Atterraggio a Madrid alle 13, mezz’oretta di macchina ed eccoci qui. A Colmenarejo, per gli amici, Colme. Qui è nata mia nonna, nel lontanissimo 1930, poco prima della guerra civile spagnola. È un piccolo paese, a 35 km da Madrid, e a 1,5 km da Galapagar, dove invece è nato mio nonno. 
Mia mamma ha passato tutta la sua infanzia qui, prima di doversi allontanare necessariamente per studiare. Intorno a Colmenarejo c’è la Sierra. Montagne. Picchi. 
Mio nonno e le sue passeggiate trovano terreno fertilissimo. Ogni giorno, con i suoi amici, sparisce verso le 10 e ricompare verso le 14, giusto prima di mangiare. Gira sempre gli stessi posti, le stesse strade e incontra le stesse persone (di cui il 90% sono familiari di mia nonna), ma per lui è perfetto così. 
Talvolta si porta mio fratello, unico nipote maschio, perché si, mio nonno appartiene ancora a quella mentalità. Più che altro se lo porta quando va a Galapagar, suo “lontanissimo” paese natio, un po’ come nipote di rappresentanza, perché è tremendamente fiero di lui. Lo tiene ore ed ore nello stesso bar con tutti i suoi giovani amici ottantenni, chiedendogli di tanto in tanto di parlare della vita in Italia, dello sport che fa, o cose del genere, come se vivessimo in una tribù in Africa.
Io invece sono la nipote delle passeggiate senza senso, forse le più belle, a metà tra la natura, l’avventura e la scoperta. La maggior parte delle volte, mio fratello, stanco e scocciato dalle mattinate nel bar, si rifiuta di andare di nuovo in giro rischiando di trovare qualche altro “giovincello” con cui chiacchierare per ore. 
Le mie cugine, troppo pigre, si rifiutano quasi sempre. Io invece, con berretto e bastone, seguo mio nonno.
Più che le passeggiate in paese, costituito da una piazza con l’Ayuntamiento, la chiesa e il cimitero, adoro andare all’Ermita. 
Merita una menzione interessante il cimitero. Tutte le lapidi sono parenti di mia nonna, è come fare un viaggio nel tempo. “¿Ves? Esa es la tía Marcelina, la hermana de Demetrio.. ¿has entendido quien es?”
Ovviamente tutte persone nate nel 1880 di cui io non so assolutamente nulla, dai nomi più improbabili, con foto abbastanza inquietanti. 
Ma per mio nonno è come andare a trovare i parenti, un po’ come se fosse perennemente Natale, ci si trova tutti insieme, la famiglia riunita. La cosa più bella è il rapporto che hanno le persone anziane con la morte. Senza tristezza e malinconia, ma con consapevolezza e accettazione.
A parte questo, Colmenarejo è minuscola. Con pochi passi si è fuori dal centro abitato, e si è “en el campo”.
Con nonno camminiamo sulla strada dove, piano piano, si sfuma progressivamente dall’asfalto alla terra battuta, polverosa. Ogni tanto passa qualche bicicletta, finti atleti che vanno verso “Los Arroyos”. Le poche macchine che passano alzano dei polveroni tremendi e ci costringono a spostarci ai lati della strada, interrompendo i nostri discorsi o talvolta, se in silenzio, i nostri pensieri.
All’inizio della strada sterrata c’è la prima tappa fissa del nostro percorso, “Las Pilas”. “Qui” dice sempre mio nonno “tua nonna veniva a lavare con il cesto e l’asino ogni volta che doveva fare il bucato, pensa che è uscito anche su Telemadrid, perché è un posto importante”. E ci credo.
Per loro deve essere incredibile come tutto il mondo sia tremendamente cambiato e come invece parti della loro infanzia e vita sono ancora li.
In questo caso si tratta di pietre di diverse dimensioni che, assemblate in un certo modo, costituiscono delle vasche. Ogni volta che passiamo di lì la situazione è diversa: a volte la vegetazione è così fitta che nemmeno si riescono a vedere dalla strada, altre volte ci si trova qualche scritta sopra (perché gli incivili sono ovunque, non solo nelle periferie delle grandi città).
Però mio nonno ci si vuole sempre avvicinare, e io lo seguo, perché ho paura magari che inciampi, o che si punga con qualcosa. Lui lo sa, e forse lo fa proprio per questo, per farmi vedere ogni volta la stessa cosa, per farmi rivivere un po’ del suo passato che io invece posso solo immaginare.
Una volta mi ci ha fatto addirittura sedere sopra, e mi ha detto: “Dame el movil, te hago una foto”. La conservo ancora quella foto: le pietre, il prato e io, ma senza testa.
Andiamo avanti e ci addentriamo in mezzo al prato. Si può seguire la strada principale, ma tagliando si fa prima.
Uno spiazzo sterrato: li a 12 anni per la prima volta con mia mamma e mio nonno ho guidato la macchina. Guidato, si fa per dire. Mi si è spenta circa tredici volte. Ci sono spesso adulti un po’ nerd con aerei da 500 euro telecomandati, che fanno tornei, allenamenti o che ne so.
Mio nonno ovviamente non perde mai occasione per ricordarmi delle mie avventure da autista.
Proseguiamo. Ci sono piantine appena piantate, probabilmente da bambini e da ragazzi nelle scuole che stano facendo qualche progetto: ci sono dei cartelli, ma in realtà non mi sono mai soffermata a leggerli. Non sono la mia priorità.
Un sentiero tra gli arbusti è segnato di tanto in tanto da attrezzi sportivi, di legno, alcuni messi meglio di altri, però abbastanza utilizzati.
Si percorre questo percorso fino alla fine, senza mai pause. Mio nonno odia fermarsi o sedersi: mai vista una persona più curiosa del mondo esterno. E non per analizzarlo, ma semplicemente per vederlo.
Le chiacchiere riguardano sempre le stesse cose: vecchi ricordi del tempo che hanno speso con me, mio fratello e mamma a Roma, il divorzio dei miei, le tremila cugine di mia nonna, o racconti della loro infanzia, quelli che preferisco.
Ma anno dopo anno i racconti sono sempre meno nitidi, ci sono sempre più buchi, e con tristezza so benissimo che io non posso colmarli.
Arriviamo alla fine: la Ermita.
Per chi non sapesse cosa sia, in quasi tutti i paesi spagnoli, piccoli o grandi che siano, c’è una ermita. Questa è una piccola chiesa, isolata rispetto al centro cittadino, chiusa per la maggior parte dell’anno poiché non si celebra un culto permanente.
Che io sappia si apre solo il giorno della Romeria (a settembre), dopo la processione che si tiene in pese dedicata alla Vergine. Ma io sono abbastanza sicura di non essere mai entrata.



È una costruzione in pietra semilavorata, come la maggior parte delle chiese del centro della Spagna, con tetto spiovente. Le finestre hanno delle grate che rendono difficile la visuale all’ interno: mi ricordo dei banconi di legno scuro, un interno buio e un altare che fa da sfondo ad un ambiente piccolo e raccolto. Io e mio nonno ci affacciamo sempre per vedere l’interno.
Dall’ermita si vede la piccola Colme in lontananza, e dall’altra parte, ancora più lontano, El Escorial. Li si sono sposati i miei genitori; è una città abbastanza grande, con un monastero meraviglioso che anticamente era la residenza estiva della famiglia reale, ai tempi di Filippo II. Facciamo il giro della chiesa, un po’ toccando le pietre e un po’ osservando dei pannelli di legno intagliati dove sono raffigurate delle scene di vita di Gesù. La spianata di fronte all’ingresso è interrotta da banconi di pietra ancorati a terra, perfettamente scomodi per celebrare la messa i giorni dell’apertura dell’ermita. Finiamo di circumnavigare la chiesa e poi, cautamente e sempre più lentamente con il passare degli anni, saliamo su una piccola montagnetta artificiale sulla cima della quale c’è una croce e un piccolo belvedere. L’ultima volta che sono andata con mio nonno, nel 2016, la croce era appena stata sostituita e adesso era nuova e in perfetto stato. Lui era contentissimo, adora l’educazione e la buona condotta.
Dal belvedere si vede la Sierra di cui parlavo all’inizio, e in particolare, quella porzione a destra dell’Escorial chiamata “Los 7 picos”. Mio nonno mi chiede di interpretare il cartello (sempre più scrostato) che è nei pressi della balaustra, per leggere i nomi delle sette cime svettanti che si vedono dalla nostra posizione. Chiaramente li ho letti duemila volte ma non me li ricordo. Ogni volta che saliamo io immortalo il momento con una bella foto, un selfie per essere precisi. Ma tanto per mio nonno non fa differenza perché non conosce assolutamente il significato della seconda parola e il prodotto finale è comunque un’immagine con le nostre facce.
Come è diverso il paesaggio del centro della Spagna da quello italiano. E pensare che molto spesso i due paesi vengono confusi.
La Spagna è un paese prevalentemente secco, quasi privo di laghi e con pochissimi fiumi. Il paesaggio infatti è prevalentemente marroncino, perché l’erba (praticamente paglia) non è verde e rigogliosa. Ogni tanto però c’è uno sprazzo di verde, ma verde scurissimo e rado, che costituisce i cespugli presenti di tanto in tanto, oppure gli alberi di altezza media.
Da li non si sente nulla di nulla. Ogni tanto un ciclista.
Ogni tanto una macchina.
L’ultima volta che sono stata li tutto era diverso: il mio accompagnatore era mio cugino, faceva freddo e non ero particolarmente serena.
Però chiudendo gli occhi sono tornata indietro: sempre lì, con mio nonno, nel nostro tempo, ed io ero la persona più completa del mondo. 

Le due parole scelte per definire il mio imprinting sono: coerente frammentarietà. 
Coerente, perchè è coerente con il contesto, con le abitudini, con il tessuto, con la natura e con la misura. 
L'intervento dell'uomo si dirada uscendo dal centro cittadino, punteggiando "el campo" di piccoli ma utili segni. Quasi come un intervento di agopuntura. Ecco perchè frammentarietà.

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